L’osservazione ha
quindi la funzione di permettere un reale incontro con i bambini, rimanendo
aperti alla scoperta di realtà non preventivate. Assumere questo atteggiamento
può inizialmente far sentire l’educatore senza punti di riferimento, poiché
niente è stabilito e progettato totalmente
a priori.
Ma solo imparando a fare i conti con le inevitabili incertezze
del lavoro educativo ( che non significa perdere né la razionalità né la
consapevolezza che caratterizzano la progettualità), ci si apre alla
complessità, che vuol dire crescita ( propria, del bambino, della relazione,
dell’istituzione).
Il
punto da cui si cerca di partire è un atteggiamento di ricerca: educatori e bambini sono protagonisti e insieme indagano la complessità delle cose,
cercando di non fermarsi all’aspetto più semplice e superficiale, cosicché ogni
esperienza sia un arricchimento per tutti.
L’educatrice,
quindi, una volta colto uno spunto durante l’osservazione dei bambini, dovrà
individuare un percorso da intraprendere, interrogarsi e cercare di trovare
delle risposte a riguardo, per poi essere pronta a seguire ogni direzione
possibile.
Iniziando
a lavorare con i bambini si cerca di
sviscerare ogni argomento che viene portato all’attenzione da un componente del
gruppo.
Operando
una continua osservazione dei singoli bambini e del modo in cui si mettono in
relazione con il gruppo e con l’ambiente, l’educatrice deve provare a rilanciare le parole e le loro idee – tramite conversazioni e
attività di vario genere – nel momento esatto in cui il bambino ( o il gruppo)
offre uno spunto relativo al percorso individuato, perché proprio in
quell’attimo egli è maggiormente
disponibile ad apprendere. Procedendo in questo modo si aggiungono ogni
volta nuovi frammenti di conoscenza, nuovi
elementi di una realtà complessa e mai scontata, che non dobbiamo
pertanto offrire ai bambini come tale; è importante lasciare sempre una
possibilità aperta e verificare
continuamente i saperi alla luce di diversi punti di vista.
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